E’ chiamato così Julian Charrière
(classe 1987) che al MASIL, Museo d’arte della Svizzera italiana di Lugano, presenta
l’installazione Towards no Earthly Pole.
Proprio come un archeologo indaga e raccoglie tracce del passato, l’artista
svizzero, che vive a Berlino, documenta le tracce che stiamo
lasciando per il
futuro. Un grande progetto iniziato nel
2017 in cui Charrière spazia fra arte, scienza e discipline diverse. Perché
spesso “la specializzazione significa chiusura” spiega Francesca Benini,
curatrice della mostra. E quindi il suo ruolo sfiora fisica, geologia, ma anche
storia e letteratura. Non a caso il titolo è un verso che il poeta inglese
Alfred Tennyson dedica all’esploratore John Franklin, morto durante una delle prime
spedizioni polari di metà Ottocento. Quando i ghiacciai erano le “frontiere più
ardue da conquistare” e più lontane dalla vita dell’umano, mentre oggi “sono fragili
ecosistemi da proteggere”. Con la consulenza di ricercatori e l’uso di droni ha filmato l’Antartide, i ghiacciai
svizzeri dal Rodano all’Aletsch, dal Monte Bianco all’Islanda, alla
Groenlandia. Il risultato è un video di un’ora e quaranta minuti, in cui appare
una natura reale che con la postproduzione svela il punto di vista
dell’artista. I suoni che accompagnano il racconto sono registrati e quindi
autentici, veri, ma elaborati con la collaborazione di un compositore. La proiezione avviene in un enorme salone dove
al buio si cammina su ghiaia con odore
di bitume, tra grandi sassi che evocano
i massi erratici spinti dai ghiacciai, però bucati a simulare l’erosione e
appoggiati a elementi metallici, per rivelare l’intervento dell’uomo. Il
pubblico sta in piedi o si sdraia su un grande materasso al centro. Sullo
schermo semicircolare compaiono immagini di ghiacciai, montagne, rocce, grotte,
laghi, crepacci. All’inizio c’è un approccio documentaristico, interessante ma
non coinvolgente e poi, anche con la complicità della musica, si è trascinati.
Quelli che sembravano paesaggi freddi diventano luoghi lunari e pieni di
mistero. Le rocce grazie a giochi di chiaroscuri, simulano profili di giganti,
i ghiacciai che si sciolgono hanno qualcosa di animalesco. Ogni tanto si individua una figura umana lontana,
spesso sono illusioni ottiche, ma qualche volta è uno dei ricercatori della
troupe. Prima di entrare nel salone ci sono due opere dell’artista, il Cannone
con le sue pietre e la video installazione
che riprende la fontana di Lugano incendiata per insistere sulla coesistenza
dei due elementi opposti, l’acqua e il fuoco. La mostra, che apre domani,
chiude il 15 marzo, per poi spostarsi, con i dovuti riadattamenti, sempre in
Svizzera all’Aargauer Kunsthaus di Aarau e poi al Dallas Museum of Art.
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