domenica 31 marzo 2019

PUNTI DI VISTA



C’è una piscina dove i nuotatori con occhialini e cuffia sembrano più interessati a fare salotto che a nuotare.  Ci sono attrezzi su un banco riparati da un ombrellone. O un mucchio di scale a pioli. E poi vetrine di vecchie mercerie con reggiseni di misure incredibili. Tutto è disegnato nei dettagli con una perfezione fotografica, ma come inserito in volumi quadrati e  percorso da un fil rouge d’ironia e poesia. Che rende le opere intriganti e incuriosenti. Tanto che non basta un primo sguardo, anche se soddisfacente. Si ha voglia di soffermarsi sui particolari. Sono gli acquarelli di Gian Piero Siemek, architetto milanese, con al suo attivo oltre a edifici, ristrutturazioni, arredi, anche allestimenti di mostre. Questa volta al Circolo Combattenti di Grazzano Badoglio è lui che espone. La scelta del paese nel Monferrato non è casuale. Molti dei soggetti dei quadri sono ispirati dalle bancarelle dei mercati, dalle fiere, dai piccoli negozi di quella zona nell’ultimo decennio del Novecento. Frutto quindi di ricordi e sensazioni raccolte da Siemek durante i suoi soggiorni. Ogni situazione è rielaborata dal gusto per il surreale e la sorpresa. Ecco tra i bagnanti della piscina di Grazzano personaggi visti alle terme di Paesi lontani. Ecco nella folla di una festa popolare, tra le teste, anche quella dell’artista. Completa l’esposizione la recente serie degli Infernot, le cantine sotterranee di Grazzano con “Quelle bottiglie sospese in rocce trasformate in textures astratte sarebbero tanto piaciute ai surrealisti” scrive nella presentazione il critico Antonello Negri. La mostra, inaugurata il 30 marzo in concomitanza con Golosaria, è aperta sabato e domenica (ore 10-13, 15-19) fino al 25 aprile. E’ in Via Mazzini, a pochi passi dall’Abbazia Aleramica del 961 e dalla Piazza dove si tengono le partite di tamburello. 

sabato 30 marzo 2019

SYRIA: CANTO E INCANTO


 
All’inizio non si avverte, ma nel giro di un quarto d’ora ci si rende conto di una presenza scenica incredibile. E quello che è più singolare in Perché non canti più, recital per Gabriella Ferri di Syria e Pino Strabioli, non si è spinti a fare dei confronti. Eppure lei, Syria, al secolo Cecilia Cipressi, canta le sue canzoni, ne ricalca le interpretazioni, assume il piglio, i movimenti, l’intonazione, quel certo romanesco. Legge il suo diario, in prima persona, eppure rimane sempre lei, Syria. E non è solo per l’aspetto così diverso, i lunghi capelli neri e il fisico minuto,da cui pare impossibile esca quella voce. Sul palcoscenico, che divide con gli ottimi chitarristi  Davide Ferrario e Massimo Germini, solo il vecchio baule rosso dell’attore da cui, di volta in volta, estrae i costumi di scena  che indossa su un abito bianco, simile alle vecchie sottovesti primi ‘900. Sono giacche militari con marsina, redingote a righe con spalline  e inserti dorati  e  un grande cuore sul retro. Per ognuno c’è una canzone diversa. Ogni tanto intermezzi  con lettura di diario o  piccoli aneddoti, che raccontano l’incontro con Anna Magnani o con Pierpaolo Pasolini o il primo amore.  E che diventano il motivo per intonare la canzone che segue. Il coinvolgimento del pubblico è totale. Syria scende spesso in platea, per la Pansé addirittura passa tra le file, si butta addosso e abbraccia qualche signora del pubblico. E poi incita a battere le mani, a cantare con lei. E curiosamente la maggior parte risponde, non solo quelli, e sono tanti, che conoscono a memoria il repertorio. A un certo punto dal pubblico si alza una voce di bambino “Brava Mamma”. E lei s’ interrompe e saluta Romeo, anzi Romé, suo figlio. Spontanea, simpatica, divertente. E’ sul palco, è una grande interprete, ma sembra di conoscerla da tempo, che sia un’amica, si ha voglia di cantare con lei.  
Lo spettacolo, al Teatro Menotti di Milano  il 29 e 30 marzo, è il primo appuntamento della rassegna di narrazione e contaminazione Talkin’Menotti. Prosegue con i grandi autori napoletani di Mariangela D’Abbraccio dal 2 al 7 aprile e l’Opera buffa e il Flauto magico di Elio dal 9 al 14.

venerdì 29 marzo 2019

L'ARCHITETTO DELLA GENTE




Nel 2018 ha ricevuto il Pritzker Price, il più ambito premio di architettura. Ha lavorato con Le Corbusier e Louis Khan.  In sessant’anni di attività ha progettato intere città, complessi residenziali, scuole, università, teatri, edifici amministrativi, case private, curando esterni e interni.  Ma non è per il lungo e straordinario curriculum che Balkrishna Doshi (Pune, India, classe 1927) è davvero un personaggio. E’ il pensiero e la coerenza  che sono dietro al suo lavoro e alla sua vita. Ci si stupisce, e quasi ci s’indigna, che il suo nome sia rimasto sconosciuto ai più per troppi anni. E nello stesso tempo si ha un’ulteriore conferma  di come il Vitra Museum di Basilea, riesca sempre a  proporre mostre  con contenuti inediti e altissimi. Da domani fino all’8 settembre, nella palazzina bianca disegnata da Frank Gehry, è di scena  Balkrishna Doshi: Architecture for the people. “Non vuole fare vedere  quello che abbiamo fatto, ma cosa si può fare con quello che abbiamo” ha detto Doshi, alla conferenza di presentazione, con  una semplicità, che non è falsa modestia, ma espressione della sua grande sensibilità. Di quell’umanità nell’approccio, per cui le persone sono sempre al centro di quello che progetta. Da cui l’importanza data alla qualità della vita, alla sostenibilità, in tempi in cui non era un tema prioritario. La mostra racconta il suo modo di pensare e di ragionare, che mette insieme musica, arte, filosofia, e per questo non segue un percorso cronologico. E’ divisa in quattro sezioni. La prima è dedicata al complesso universitario di Ahmedabad e alla scuola di architettura con la surreale Gufa (grotta, in lingua gujarati), galleria sotterranea con all’esterno cupole di diverse dimensioni, realizzata non da operai specializzati ma da donne, secondo lui più scrupolose e con una migliore manualità (in basso). La seconda sezione parla di edilizia sociale, ispirata agli insegnamenti del Mahatma Gandhi. Ecco plastici e foto che mostrano come partendo da un piccolo blocco con sanitari e una stanza si possano aggiungere, a seconda delle esigenze e delle possibilità economiche, altri locali. E come esista un sistema di scale e pianerottoli per favorire gli incontri tra i residenti (al centro). Qui sono riprodotti in scala ridotta anche la sua casa e il suo studio, con pianta a croce, per sfruttare dappertutto la luce solare. Nella terza sezione ci sono foto, plastici e dettagli dei grandi edifici come il Premabhai Hall ad Ahmedabad, pietra miliare dell’architettura istituzionale, che richiama vagamente la forma di un leone. Nell’ultima sezione, infine, da vedere i suoi progetti urbanistici, come il complesso residenziale nel Rajasthan con 15mila appartamenti, dove il tema della sostenibilità è affrontato a 360 gradi. 

sabato 23 marzo 2019

BAMBOLE INQUIETANTI




E’ sempre un piacere salire all’Osservatorio Fondazione Prada, a Milano, anche solo per vedere, attraverso le enormi finestre, le cupole di vetro e metallo della Galleria Vittorio Emanuele II.   Se poi la mostra è interessante, come Surrogati: un amore ideale, è ancora meglio. Più che la ricerca di un sostituto del grande amore racconta le sofferenze dell’attuale società. Parla di solitudine, di desideri irrealizzati, di paura d’invecchiare, di fuga dalle responsabilità, di finzioni, d’insicurezze, della difficoltà di comunicare, di un senso estetico stravolto, d’illusioni. Tutto questo con le foto delle artiste americane Jamie Diamond ed Elena Dorfman.  Diamond in Forever Mothers parla di maternità, una maternità che può essere rifiutata, persa, interrotta, sognata.  Ed ecco mamme con bambini-bambolotti, immobili e inespressivi, come senza espressione e incapaci di comunicare affetto sono i loro volti. I bambini, neonati soprattutto, sono piccoli mostri da tenere come un oggetto, non si vede pathos nel rapporto. Nella serie Prometto di essere una brava madre il discorso è ancora più accentuato, la falsità dei gesti è estremizzata. Elena Dorfman  con Amanti immobili parla di amore di coppia . Ed ecco ragazze trasformate in bambole, dove tutti i tratti sono eccessivi, il seno enorme, le labbra gonfie, gli occhi truccatissimi, lo sguardo fisso, i capelli di un  falso vaporoso. Il loro corpo, spesso nudo, ha una pelle levigata, perfetta, sembra di silicone, e ci sono anche i segni dei ritocchi, non si sa se realizzati con il make up o in postproduzione. Vicino c’è un uomo, che spesso le ignora. Sono immagini provocatorie che rimandano allo squallore delle sex dolls. Vicino a certe ragazze-bambole c’è una donna vera con le rughe, le macchie della vecchiaia, che fanno risaltare ancora di più la finta perfezione. E qui c’è forse il rimando alla chirurgia estetica, all’inseguimento spasmodico della giovinezza che fugge.  C’è un’unica immagine  quasi di felicità.  E’ quella di due visi vicini, prima di un bacio. Per il resto  si avverte tristezza, disagio, una falsa euforia  e in qualche caso addirittura un senso di horror.  Un ritratto drammatico e senza filtri di una società sempre più robotica. La mostra chiude il 22 luglio.   

mercoledì 20 marzo 2019

SHAKESPEARE FOREVER


Il fatto che Shakespeare continui a essere rappresentato con successo  e soprattutto a essere attuale è sicuramente dovuto al fatto che, al di là della trama e dell'ambientazione, c’è un’esplorazione nei sentimenti davvero straordinaria . Tra le tante rivisitazioni  Abitare la battaglia (Conseguenze del Macbeth), messo in scena da La fabbrica dell'Attore e il Teatro Vascello Roma con la regia di Pierpaolo Sepe, è una delle prove più convincenti. Più che uno spettacolo teatrale può essere considerato una performance o ancora meglio un'installazione in movimento. Sul palcoscenico sette persone, di cui una sola donna. Non parlano, raramente sussurrano qualcosa. Si muovono molto, ora all'unisono, ora ognuno per conto proprio. I loro gesti sono calibrati, le loro posizioni  statuarie, spesso formano delle composizioni dove l’umano è secondario.  L'accompagnamento musicale consiste  in suoni spezzati, interrotti, sovente metallici o stridenti, in accordo o in contrasto con le luci, attentamente studiate a formare effetti speciali. Come nel caso del groviglio umano, quando i palloncini neri, nelle mani di ognuno, mossi in un certo modo e sotto le luci, diventano dei nastri danzanti. I costumi sono essenziali: pantaloni con bretelle per gli uomini, un abito marrone per la donna. Nessun oggetto in scena, solo un casco dalla forma di testa di animale, una corona, una sedia-trono da cui un breve aggancio con la tragedia shakespeariana. Qui non ci sono protagonisti. Il vero, assoluto, incontrastato protagonista è il male. Non è solo nella perfida regina pronta a tutto purché il marito arrivi al potere. E' in tutti, passa dall'uno all'altro. Perché nessuno è totalmente buono o totalmente cattivo. C'è l'ambiguità, l'inganno, la simulazione, la perversione. E,incredibilmente, anche se non si ha il soggetto da condannare, l'eroe buono o quello a cui dare il proprio appoggio, si segue la drammaturgia, come fosse una storia con finale. Una prova di teatro davvero  eccezionale con un'esecuzione perfetta, da parte di tutti. Dagli attori-mimi-ballerini al regista, dalla drammaturga alla costumista, da chi ha curato i movimenti di scena a chi si è occupato delle luci. Lo spettacolo è al Teatro Menotti di Milano fino al 24 marzo.