Sono passati i tempi in cui l’entrata di un
individuo di sesso femminile in un’aula del Politecnico provocava un coro di
“Nuda!” da parte dei futuri ingegneri. O della ragazza vero talento per la chimica, la fisica o la matematica, che si
rassegnava, una volta laureata, al destino di professoressa di scuola media.
Molto è cambiato, ma nel mondo scientifico, in Italia, siamo ancora
lontanissimi dalla parità con l’uomo. Per una Rita Levi Montalcini, unico Premio
Nobel donna per la Medicina, ci sono venti uomini che l’hanno ottenuto. Ma
senza parlare di Nobel, una ricerca del Global Media Monitoring Project del
2015 ha rivelato che le donne scienziate, interpellate dai media come esperte,
sono solo il 18 per cento. Dalla presa in atto di questa realtà sconcertante è
nato nel 2016 il progetto 100 donne
contro gli stereotipi, da un’idea dell’Osservatorio di Pavia e
dell’Associazione Gi.U.Li.A (Giornaliste indipendenti,unite, libere, autonome) in
collaborazione con Fondazione Bracco e con il supporto della Commissione
Europea. Dietro, nessuno spirito di vendicativa rivalsa o esaltazione un po’ al
limite, genere #MeToo dello spettacolo, ma la voglia di cambiare la situazione
per avvicinare le donne giovani alla scienza. S’inserisce in questo progetto la
mostra Una vita da scienziata,
prodotta e curata da Fondazione Bracco, inaugurata ieri a Milano, al Centro
Diagnostico italiano di Via Saint Bon,
fino al 30 giugno. Da vedere 35 scienziate ritratte da Gerald Bruneau.
Nato a Montecarlo, ma cittadino del mondo, ha alle spalle una lunga e variegata esperienza, dalla
frequentazione della Factory di Andy Warhol alla campagna elettorale di Jesse Jackson nel 1988. Dal reportage in
prima linea da Israele e dal Kurdistan a quello sui dead men walking di una prigione texana o sulla tossicodipendenza
a New York. Per questa mostra ha parlato per ore con le modelle speciali, tirandone fuori, con sensibilità, straordinario
mestiere e una buona dose di humour, il lato aperto e curioso che testimonia e
racconta l’entusiasmo per il loro lavoro. Fondamentale per capovolgere
quell’immagine stereotipata della scienziata, chiusa nel suo mondo, austera e
un po’ surreale, lontana da ogni indizio
di femminilità. Ed eccole le 35 signore riprese nel loro ambiente. Che può
essere una scrivania zeppa di microscopi e strane macchine per la farmacologa
(Maria Pia Abbracchio foto in alto) che studia le cellule staminali del
cervello. O la terrazza di un
osservatorio dove la chimica (Maria Cristina Facchini foto in basso) indaga sui
processi fisici e chimici nel sistema atmosferico. O l’ordinaria di cardiologia
nel suo ufficio, con un cuore (riproduzione di quello vero) in mano, o la
veterinaria, direttrice dell’istituto zooprofilattico, che tiene un piatto con un
pesce. E tutte sorridenti, ma non con il sorriso forzato d’occasione, ma con
quello vero, che esprime la gioia per la professione e il buon rapporto umano,
ampiamente confermato dal modo di parlare e dall’atteggiamento durante
l’inaugurazione della mostra.
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