L’acqua che scorre e la memoria. Sono due concetti apparentemente poco
conciliabili. Almeno così sosterrebbe Eraclito e non solo. Eppure fissare in una foto le
immagini dell’acqua, di mare o di fiume, che comunque scorre e si muove, magari immortalando anche qualche
frammento di natura trascinato dalla
corrente , è quasi la dimostrazione del contrario. O per lo meno di come i due
concetti possano essere legati. Giulia Vasta ce lo fa notare. Con la sua
mostra “Le forme dell’assenza” fino al 30 aprile all’Unimedia Contemporary Art
di Genova. Da vedere il frutto di uno studio e una ricerca curiosa e scrupolosa
di anni. Dalla
forma più immediata e semplice del
filmato dove si vede il fiume che scorre trascinando con la sua corrente
rami, arbusti, oggetti abbandonati. Alle
serie
Dissipazioni, 50 0 60 fotogrammi di un video assemblati nella stessa cornice. Uno racconta il passaggio dell’acqua di mare nelle sue mani.
Un altro lo scioglimento in 18 minuti di
una saponetta, tenuta sempre nelle sue mani, sotto il rubinetto di un lavabo
. E poi ci sono i ricordi, veri e
propri, con una loro consistenza sempre legati all’acqua, ovviamente. Come l’installazione-tavolo con 27 piccoli quadrati con rametti
trovati sulle rive di un fiume, sassolini, pezzi di terra, tracce o foto. O ancora i confronti, fra quello che è
generato dalla natura e quello che è prodotto dall’uomo. Ecco per esempio un rosario, che si era incastrato in un ramo, affiancato da un
pezzo di legno che ne richiama le linee.
O ancora uno stivale di gomma abbandonato sulla sabbia con le tracce intatte della sua suola e a fianco un ramo che ha la stessa curvatura
. Non sono molti i pezzi esposti nella prima rassegna personale di Vasta, ma vanno
visti con attenzione e tempo. Per
coglierne quell’attrazione che stimola i pensieri e i ricordi. E’ una testimonianza di quanto la natura possa
essere interessante, mutevole e addirittura creativa, senza la presunzione di
volere dare un messaggio.
lunedì 31 marzo 2014
giovedì 27 marzo 2014
PASSION FLOWER
Coloratissimi, in bianco e nero,
iperrealistici, stilizzati, sfumati, informali, futuribili, accennati, barocchi, decadenti, sensuali, pop, di carta,
di stoffa, di plastica. I fiori, quelli
finti, fioriscono dappertutto nella moda. Tra i
prediletti la rosa, forse perché più eclettica e camaleontesca. Capace di essere la massima
espressione del kitsch e il più fulgido esempio della linearità essenziale. E’ stata il tema e il fil rouge di una presentazione di abiti e accessori in
un noto studio di comunicazione milanese: eccola protagonista in versione
geometrizzante di tessuti inediti per spolverini e tubini; tridimensionale in
colori shock per gli orecchini; oleografica
da pittura ottocentesca su sciarpe e pochette; in una brillante
interpretazione déco-pop nelle T-shirt d’artista di Rosanna Prezioso (v.foto).
Fiori di tutti i tipi, con una
prevalenza per quelli di campo, splendono sul tessuto bianco degli accessori
firmati
Dolce & Gabbana. Dalle più
strutturate borse a bauletto un po’ anni Quaranta alle più semplici shopper,
alle minuscole, preziose clutch. Dalle
ballerine ai sandali con plateau fetish, agli infradito, agli stivali da fatalona tacco 10. Christian
Louboutin, addirittura per il prossimo inverno, propone viole del pensiero
sulle sue sexyssime décolletées con tacchi improbabili, suggerite per movimentate
e birichine serate da alcova. Si ispirano alle suggestioni
floreali di Frida Kahlo le collane e gli orecchini di Ayala Bar, come sottolinea anche l’immagine pubblicitaria. Sono
in filigrana d’argento
ed evocano rose, ninfee, orchidee, tulipani i bijoux di Yvone Christa, brand di
Yvonne Clamf e Christina Soderstrom, svedesi di nascita, ma da 19 anni newyorkesi di adozione e fama. Fiori di pesco in madreperla rosa sono sulla collana-colletto
placcata oro della serie Cartoline d’Italia di Misis, nella linea dedicata ad
Asolo. Sono una novità, invece, i fiori
sugli occhiali. Da quelli in 3 D a quelli stampati. Così le ninfee sulle montature di Emporio
Armani, le fioriture smaglianti su quelle di Dolce & Gabbana, i giardini su quelle di Vogue Eyewear che, a conferma della passione floreale,
quest’anno è tra gli sponsor di Orticola
(v.L’Espa.net venerdì 21 marzo 2014).
martedì 25 marzo 2014
OMAGGIO A UN GENIO
Certo è una banalità da dire, ma
viene spontanea. Chissà cosa avrebbe fatto Piero Manzoni se non fosse morto a neanche 30 anni. Tutti, o quasi, conoscono la Merda
d’artista o gli Achromes, ma non sono
che due dei tanti aspetti di un’opera ampissima, variegata, sfaccettata, piena di spunti, incroci di idee,
sperimentazioni. Visitare la mostra a
Palazzo Reale di Milano, dal 26 marzo al 2 giugno, è il modo migliore per
rendersene conto. Non solo perché le opere sono tante, ma anche perché sono esposte in un allestimento essenziale,
che sarebbe piaciuto all’artista. Colui che ha
scardinato i canoni dell’arte viene trattato come un classico. Con le
opere disposte nelle sale che riproducono il cardo e decumano, su cui è
stata costruita Milano, il terreno fertile dove si è sviluppata la creatività
di Manzoni. L’allestimento, infatti, non
segue il principio del sensazionalismo, che sarebbe stato facile e di immediata soddisfazione, ma punta sull’approfondimento.
Vuole mettere in luce la capacità di
questo straordinario artista di inventare e usare linguaggi nuovi. Come ha detto Flaminio Gualdoni, curatore
della mostra insieme a Rosalina Pasqualeo, la rassegna è antologica, vuole ricostruire
tutti gli aspetti e le fasi del percorso artistico e soprattutto quell’ansia di Manzoni di fare e sperimentare
sempre di più, incrociando, sovrapponendo, mescolando. I curatori hanno scelto di non ridurre a
slogan la sua carriera. Sarebbe stata una mostra più popolare forse, ma si sarebbe disconosciuto che il suo non
era “un dire diversamente” ma “un dire cose nuove”. Salta all’occhio l’uso di materiali
assolutamente insoliti. Il catrame con i sassi e il colore naturalmente, la tela grinzata con il caolino per i suoi Achromes.
Ecco le michette, tipico pane milanese, trattate con il caolino. O ancora
l’ovatta geometrizzata in quadrati, la
carta compressa, il peluche, le palle di paglia, i panni cuciti, il caolino con
la tela. Il polistirolo con le palline degli ultimi tempi. Pare che quando fu
trovato morto, nel suo studio in Fiori Chiari, per un infarto, avesse appena
ultimato una di queste composizioni. E
poi documenti , filmati che rivelano
performance con il corpo umano davvero ante litteram. Coerente e in sintonia il catalogo di Skira, esauriente
e di grande sobrietà.
venerdì 21 marzo 2014
CUORI? QUADRI? PICCHE?... FIORI!
Sculture di Silvia Manazza |
Orticola 2012 |
La schiera degli amanti di fiori e piante s’infittisce
a vista d’occhio e non ha che l’imbarazzo della scelta per
soddisfare la sua passione. A parte una primavera anticipata che regala fioriture
assolutamente inaspettate. Nel prossimo salone del mobile, soprattutto nel
fuori salone, il tema del verde è al centro della attenzione e non solo con i
mobili da giardino. Al Superstudio, per
esempio, viene allestito su un tetto un orto di 750 metri quadri, su progetto di Michelangelo
Pistoletto, che resterà in funzione tre mesi. E di cui il raccolto di frutta e
verdura può essere consumato sul posto.
Dal 9 all’11 maggio, sempre a Milano, ritorna Orticola con idee e
proposte brillanti grazie all’attività, tutta di volontariato, dei suoi efficienti
e creativi organizzatori. Uno degli obiettivi di questa edizione far
conoscere la rosa italiana che,
nonostante il passato glorioso e la
grande varietà delle specie, è una cenerentola, in secondo piano rispetto alle genoveffe e anastasie francesi,
tedesche e inglesi. Qui troverà il suo principe azzurro capace di valorizzarla.
Previsti allestimenti particolari
con l’incontro design e botanica.
Immancabili i corsi e i laboratori
gratuiti per bambini e non. Tra i
partner sostenitori, oltre agli storici, il nuovo AssoBirra, che partecipa anche attivamente con degustazioni e
corsi di spillatura, per mostrare l’anima verde della spumeggiante bevanda.
Non a Milano, ma vicino a Vaprio d’Adda, dal 23 al
25 maggio è di scena la seconda edizione della mostra-mercato Bucolica-Vivere
Country nel parco della maestosa Villa Castelbarco. Distribuiti tra le
scuderie, i saloni interni, il patio e i
giardini un centinaio di espositori. Dall’artigiano con la sedia impagliata
fino all’antiquario con il quadro d’epoca, ovviamente a soggetto bucolico-country.
Da non mancare “Donne di fiori” un percorso
di contemplazione creato da note paesaggiste. E l’esposizione di Silvia
Manazza con installazioni-sculture mix di romanticismo e sense of
humour, realizzate con vecchi materassi scovati in un collegio abbandonato.
mercoledì 19 marzo 2014
RACCONTI AFRICANI
Raffaello Bini, nonno di Luca |
Il negozio di Ottica ad Asmara |
Difficile scegliere un paio di
occhiali senza provarli.
Mentre un abito puoi capire se ti si adatta vedendolo
in una vetrina, per gli occhiali non è così. Basta una curva diversa, un colore
inusuale, la consistenza particolare di un materiale e l’effetto può cambiare.
Può far risaltare troppo il naso o anche
troppo poco, può nascondere troppo la fronte o anche troppo poco. Certo la
leggerezza è un elemento positivo, ma non è l’unico che si cerca, in un
occhiale da sole soprattutto. E allora cos’è quel valore aggiunto che può
invogliare all’acquisto? Per alcuni,
molti purtroppo, è il logo o il fatto che lo porti una certa
celebrity. Ma per altri potrebbe essere la storia che c’è dietro? Sì, se è
forte e trainante come quella del marchio L.G.R. Le tre lettere sono le
iniziali del fondatore Luca Gnecchi Ruscone, trentenne con una brillante
carriera nel mondo dell’alta finanza di Hong Kong. Fino al 2007, quando il nonno Raffaello, che aveva vissuto in Africa dal 1930 al 1970,
prima come fotografo poi come imprenditore, lo manda ad Asmara. Nel negozio di ottica sopra la casa dove
viveva, entrambi confiscati ai tempi della guerra di liberazione dell’ Eritrea
dall’Etiopia, Luca trova una scatola di occhiali da sole del periodo
coloniale, importati dall’Italia e destinati ai militari. Se ne innamora.
Riesce a individuare tra le vecchie carte le fatture e risale al produttore. La ricerca non è così semplice
perché l’azienda ha chiuso nel 1968. Ma la determinazione di Luca è più forte.
Girando per le case e con un passaparola
arriva al proprietario, e riesce a convincerlo a riaprire il laboratorio. Fa
riprodurre i modelli trovati seguendo le
stesse lavorazioni artigianali, con materiali simili ma tecnologicamente avanzati e di altissima qualità . Quindi
incomincia a proporli con un"porta a porta" serrato ai negozi di moda più ricercati
d’Europa. Colette è uno dei primi ad acquistarli. Partecipa a un evento a
Parigi e i suoi occhiali arrivano sulle
pagine di Vogue francese. E’ il successo.
Ora la collezione ha 32 modelli da sole e 27 da vista. Si chiamano
Asmara, Malindi, Casablanca , Zanzibar, tutti nomi di località africane, ma non
seguono il discorso vintage, decisamente
superato. Anzi la ricerca di materiali sempre più tecnologici e il design inedito sono il fiore
all’occhiello di L.G.R. L’Amarcord resta nelle lavorazioni artigianali, nel
tutto italiano e nelle lenti in vetro. Però antigraffio, resistenti agli urti e
che proteggono al 100% dai raggi UV.