“Un
tubino nero, un giro di perle e sei sempre a posto”. La frase suona quasi
caricaturale, può essere letta come l’emblema della banalità a parole. Eppure
quell’abito ha davvero avuto una funzione rassicurante, meglio di qualsiasi analista.
Poteva tenere lontano dall’errore,
sconfiggere la paura di essere fuori posto, anzi non abbastanza a posto. Ha
esaudito brillantemente il desiderio istintivo di far parte di un gruppo, di
essere accettati, di uniformarsi.
La petite robe di Chiara Boni |
Ora
si continua a cercare la stessa sicurezza attraverso il vestire, ma si punta sul farsi notare. La
protezione arriva dalla griffe,
dal brand, dal salvagente del total
look. Più si è targati, più si è sicuri di non sbagliare e di piacere.
Una
piccola mostra fotografica a Milano, nella settimana della moda,sembra sfatare
completamente questa visione e fa riflettere. Si intitola “La nuova Milano”,
sottotitolo “one dress many thoughts”,volutamente in inglese, lingua
dell’internazionalità. Perché la nuova Milano è quella multietnica. Da vedere i
ritratti di ventuno donne con
addosso proprio quel tubino nero, o meglio la Petite Robe, come la chiama
Chiara Boni, la stilista che l’ha
creata e che è anche la fotografa e
la responsabile del casting. E l’abito le accomuna. La giovane piercer milanese e la sarta
teatrale siberiana, la ristoratrice cinese e la regista uzbeka, l’agente
letterario italiano e la curatrice d’arte sudafricana. Donne diverse, qualcuna famosa,
qualcuna di potere , qualcuna che lavora con il corpo, qualcuna con le mani . Ognuna
di loro interpreta la petite robe a
modo suo e curiosamente
ognuna mantiene intatta la propria personalità. L’abito le veste tutte, ma
proprio perché è democratico lascia a ognuna essere come vuole, e quindi molto
diverse tra loro. Per concludere con una banalità come si è cominciato. L’abito non fa il monaco.
Nessun commento:
Posta un commento