Nessuno nato entro la fine del secolo scorso può non ricordare quel 16 marzo del 1978 e provare commozione, indignazione, rabbia, paura, sgomento. Difficile però che questi sentimenti possano tornare tutti insieme in un teatro. Perché è questo che suscita Moro: i 55 giorni che cambiarono l’Italia, ieri e oggi al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano. In scena Ulderico Pesce che ha scritto il racconto scenico con il giudice Ferdinando Imposimato, titolare dei primi processi del caso Moro, e ne ha anche curato la regia.
E’ lui che prende la voce di Ciro, fratello di Raffaele Iozzino, uno degli uomini della scorta di Moro uccisi quel 16 marzo, l’unico che riuscì, prima di morire, a sparare due colpi di pistola contro i terroristi. Toccante il suo ricordo dell’ immagine in televisione del lenzuolo da cui usciva un braccio con un orologio, proprio quello che lui, Ciro, aveva regalato a suo fratello per la Cresima. Al racconto personale, con l’incredulità, l’orribile scoperta, il dolore della mamma si alternano considerazioni su quel giorno. Sui dettagli, i commenti, le testimonianze che sempre di più convergono a dimostrare come quel rapimento-strage, con conseguente assassinio 55 giorni dopo, era frutto di una macchinazione giostrata da un presidente del Consiglio e un ministro dell’Interno manovrati dai petrolieri e i conservatori americani, per bloccare quel compromesso storico che mai si attuò. Uno schermo ogni tanto manda immagini di via Fani, delle auto, dei corpi per terra, dello stesso Imposimato. Impossibili da dimenticare. Anche queste come le parole di Pesce mettono in risalto incongruenze e stranezze, che confermano sempre di più il complotto dall’alto. Perché la scorta teneva nel bagagliaio le armi e non a portata di mano? Perché sia l’auto di Moro che quella della scorta non erano blindate? Dov’era scomparso quel rullino con le foto dell’agguato? Perché a indagare sul rapimento fu l’Ucigos, organismo di polizia speciale alle dirette dipendenze di Cossiga, creato solo due mesi prima? Perché uno dei titolari della scorta venne mandato in ferie quel giorno e sostituito da Francesco Zizzi, da pochissimo poliziotto, appassionato di canzoni e di Modugno , che prima di morire, in auto, cantava La lontananza. Ed è proprio quel mix di quotidianità e di tragedia, di persone normali diventati indimenticabili e compianti eroi che rende quanto mai forte lo spettacolo. L’unico difetto la poca permanenza a Milano. Che invoglia però a un altro spettacolo al Teatro Menotti, sempre scritto, diretto e interpretato da Ulderico Pesce, con l’accompagnamento della fisarmonica di Pierangelo Camodeca. E’ I sandali di Elisa Claps, dal 14 al 17 novembre, che racconta un altro mistero: quello della ragazza scomparsa e ritrovata cadavere dopo 17 anni nel sottotetto di una chiesa di Potenza.