Il film racconta la vita e le opere di un’artista, senza una cronologia precisa, con dialoghi, interviste, commenti di critici e persone che hanno ruotato intorno a lei. Non c’è una trama, né una sequenza particolare. Eppure quei 60 minuti si seguono come un thriller o con la curiosità di una commedia happy end. Si sta parlando di Maria Cristina Carlini. Il coraggio della grandezza di Pino Farinotti e Tiziano Sossi sulla scultrice. Prodotto da Daniela Azzola è stato proiettato ieri in anteprima al Meet Digital Culture Center di Milano, centro per la diffusione della cultura digitale, a un pubblico foltissimo.
Certo il luogo è di grande attrazione, ma non è stato quello a influire e ben disporre alla visione. Come neanche la presentazione di Farinotti e Sossi. Breve ma approfondita, perfetta per introdurre il personaggio. E personaggio Carlini (nella foto al centro)lo è, nonostante l’ essere schiva, sempre semplice e naturale, senza mai fastidiose false modestie. Il suo percorso artistico inizia, quasi per caso, a Palo Alto in California, dove appena sposata segue il marito. Qui frequenta un corso di ceramica appassionandosi al torchio, tanto che quando si sposta a Bruxelles, oltre a continuare l’attività artistica, insegna a lavorare al torchio. Nel 1978 ritorna definitivamente a Milano, la sua città, e apre un laboratorio in zona Brera, chiamato Le terre. Qui sta una trentina d’anni, fino a quando si sposta in una fabbrica dismessa di Via Savona dove attualmente vive e lavora. Il nome Terre non è casuale, le sue opere, quasi tutte di grandi dimensioni da cui il titolo del film, sono realizzate in materiali “veri” come l’acciaio, il corten, il ferro(nella foto in alto Bosco Ferro), il legno di recupero. Raramente sono colorate, i colori li prendono nel tempo. Oltre che con le loro forme parlano con l’irregolarità delle loro superfici. Nei racconti di Carlini non c’è mai niente di autoreferenziale. Si riscontra una grande determinazione, una passione che continua a esserci e a rinnovarsi, ma mai niente di costruito o di forzato. Anche quando parla dell’innamoramento da ragazzina del Tondo Doni di Michelangelo o della fascinazione per la Pietà Rondanini. Sono creazioni incredibili che, dice, le fanno pensare che sia impossibile creare qualcosa dopo. E invece le sue monumentali opere, presenti in tre continenti, la smentiscono. Da Fortezza a Roma a Viandanti e Danzatrici a Pechino. Da Madre e Out & Inside a Denver (foto in basso) a La Vittoria di Samotracia e Icaro a Miami fino a Impronte al Museo del Parco di Portofino e Obelisco in Piazza Enrico Berlinguer a Milano del 2024.
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